Vaccino terapeutico contro il tumore alla prostata approvato negli Usa


Induce una risposta immunitaria attiva e permanente del sistema immunitario, contro il cancro prostatico, ma non serve a prevenirlo, bensì a curarlo

MILANO - Per la prima volta la Food and Drug Administration statunitense ha approvato un vaccino terapeutico contro il cancro: vaccino, perché induce una risposta attiva e permanente del sistema immunitario, ma terapeutico, perché non serve a prevenire, ma a curare la malattia. Il Provenge, come si chiama, allunga in media di quattro mesi la sopravvivenza degli uomini con cancro alla prostata disseminato ad altre parti dell’organismo e resistente alle cure standard. Obiettivo che si può raggiungere con una spesa di poco inferiore ai 100 mila dollari per paziente. S
UNA STORIA COMINCIUATA 20 ANNI FA - Sono passati quasi vent’anni da quando Edgar Engleman, dell’Università di Stanford, in California, fondò, insieme al collega e amico Samuel Strober, una piccola azienda di biotecnologie per sviluppare, grazie all’apporto di finanziatori privati, l’idea che avevano avuto in laboratorio: armare contro il tessuto del tumore le cellule dendritiche del malato, quella sfuggente frazione dei globuli bianchi che proprio in quegli anni si stava individuando come prima linea di difesa della risposta immunitaria. «Isolare queste cellule è difficilissimo» spiega Michele Maio, responsabile del reparto di immunoterapia oncologica al Policlinico Santa Maria alle Scotte di Siena. «Per questo si preferisce generarle in laboratorio, a partire da un semplice campione di sangue del malato». Non è però il laboratorio dell’ospedale, neppure se specializzato come quello di Siena, che può svolgere questa operazione. Il campione di sangue deve infatti essere inviato ai produttori del vaccino, che, dopo aver ottenuto le cellule dendritiche (da cui il nome stesso dell’azienda, la Dendreon), le caricano con una proteina caratteristica del tumore alla prostata, la fosfatasi acida prostatica, e un’altra capace di stimolare le difese immunitare. A questo punto le fiale possono essere rimandate ai medici del centro dove il malato è in cura, che gliele inietteranno in tre dosi, a distanza di due settimane l’una dall’altra. 


DIFFICOLTÀ PRATICHE -
 Le difficoltà pratiche sono evidenti: già la Dendreon ha annunciato che per il momento potrà offrire il trattamento solo ad alcuni dei pazienti in cura nei 50 centri in cui finora è stata condotta la sperimentazione. «Per ora però solo un contesto così controllato può garantire la qualità del procedimento» commenta Maio, che è ottimista sulla fattibilità di una produzione centralizzata del vaccino: «Per un altro metodo simile che stiamo studiando, applicabile a diversi tumori, abbiamo calcolato che in Europa basterebbe un solo impianto di riferimento, in una posizione strategica come Francoforte, dove arrivano voli da ogni città».
PROSSIMI SVILUPPI - L’approvazione del Provenge da parte dell’agenzia statunitense apre la strada ad altri approcci simili a questo, che sono già in fase avanzata di studio, da quelli rivolti contro il bersaglio MAGE-A3 del melanoma, su cui lavorano anche ricercatori italiani, al DCVax, già approvato in Svizzera contro una particolare forma di tumore al cervello o all’OncoPhage, che per ora ha avuto l’ok solo dalle autorità russe, per combattere la malattia a livello del rene. «Il fatto che questi prodotti, come altri venduti in Canada e in alcuni Paesi in via di sviluppo, non abbiano ancora passato il vaglio delle due maggiori agenzie regolatorie del mondo, quella statunitense e quella europea, impone però prudenza» commenta Maio. Anche perché gli effetti collaterali possono essere gravi: la sperimentazione di un promettente vaccino contro il tumore del polmone e della mammella, lo Stimuvax, è stata recentemente interrotta per l’insorgenza di encefalite in un malato che partecipava allo studio.«Come sempre, bisogna quantificare i rischi e confrontarli con i benefici» dice il ricercatore, «tenendo conto che questi ultimi a volte si fanno vedere soltanto dopo un po’.
IL FATTORE TEMPO - È come per una vaccinazione contro una malattia infettiva: ci vuole del tempo perché si instauri la protezione, ma poi questa dura a lungo». Allo stesso modo, l’effetto delle terapie immunologiche può essere meno immediato di quello di una chemioterapia. Ma diversamente da questo, non finisce quando si smette la cura, perché addestra l’organismo a tenere a bada da solo l’eventuale ricomparsa di cellule tumorali. È proprio in questa trappola sui tempi che sono caduti gli sperimentatori del Provenge tre anni fa, quando l’FDA, con una scelta che scatenò le proteste di molte associazioni di malati, non concesse il suo via libera nonostante il parere positivo della maggioranza degli esperti consultati. La ricerca presentata dall’azienda, infatti, che coinvolgeva più di 500 malati di cancro alla prostata in fase avanzata, era stata impostata in modo da verificare prima di tutto la capacità della procedura di rallentare la progressione del tumore, un effetto che in un primo momento non appariva evidente. Emergeva però una maggiore sopravvivenza, che doveva tuttavia essere confermata nel tempo, in uno studio impostato in modo da accertare questo risultato, piuttosto che l’evoluzione della malattia in sé. Ora che la conferma è arrivata, l’FDA non si è tirata indietro. Alla luce di ciò c’è da scommettere che al congresso annuale dell’ASCO, l’American Society of Clinical Oncology, che si terrà a giugno a Chicago, le terapie immunologiche la faranno da padrone.
Roberta Villa
fonte:http://www.corriere.it/salute/sportello_cancro/10_maggio_03/vaccino-tumore-prostata-approvato-usa_a4a21f78-56b7-11df-ae23-00144f02aabe.shtml

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